La Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 9158 del 12 aprile 2018 ha rilevato che "in tema di responsabilità della banca in caso di operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema, è del tutto ragionevole ricondurre nell'area del rischio professionale del prestatore dei servizi di pagamento, prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente, la possibilità di un'utilizzazione dei codici di accesso al sistema da parte dei terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo".
La Cassazione ha poi richiamato il proprio precedente orientamento in materia (cfr. Cass. Civ. n. 2950 del 3 febbraio 2017), facendo presente che alla banca è richiesta una diligenza di natura tecnica, da valutarsi con il parametro dell'accordo banchiere; la banca stessa è quindi tenuta a fornire la prova della riconducibilità dell'operazione al cliente.
E come già statuito precedentemente sempre dalla Cassazione con sentenza n. 10638 del 23 maggio 2016, il risparmiatore che agisce per l'abusiva utilizzazione delle sue credenziali informatiche deve soltanto provare il danno come riferibile al trattamento dei propri dati personali, mentre la banca può ritenersi responsabile per non avere impedito a terzi di introdursi illecitamente nel sistema telematico mediante la captazione dei codici d'accesso del correntista, ammenochè non dimostri che l'evento dannoso non le sia imputabile perché discendente da trascuratezza, errore o frode del correntista, o da forza maggiore.
Alberto Foggia